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Si parla spesso di discriminazioni per motivi etnici, nazionali o religiosi, ma ancora poco di age shaming, cioè di discriminazioni dovute all’età anagrafica.
Soprattutto sul lavoro le discriminazioni non sono certo una novità e, nonostante nuove leggi che promuovono i diritti dei lavoratori, rappresentano un fenomeno tutt’altro che marginale, anche nel nostro Paese.
Secondo l’indagine Work Force del 2018, infatti, i lavoratori italiani sono al primo posto in Europa tra coloro che dichiarano di subire discriminazioni sul posto di lavoro. Per il 19,3% degli over 55 l’età è il principale motivo per cui si sentono discriminati e il 22% tra i 45 e 54 la considera il più grosso ostacolo alla professione.
Le aziende che assumono cercano di intercettare persone sempre più giovani, a discapito dell’esperienza, forse perché molti lavori sono completamente nuovi, per i quali quindi in pochi possono vantare un minimo di esperienza, o  perché si richiedono velocità, prontezza, versatilità, o semplicemente per risparmiare.
Insomma se prima era difficile trovare lavoro a 50 anni, ora per essere assunti possono essere troppi anche 30.
«In Italia, molte aziende si sono sentite in dovere di abbassare i loro costi e con ciò hanno iniziato a dare la preferenza a profili che di fatto costano meno. C’è poi tutto il tema degli sgravi fiscali per chi assume persone entro certe fasce d’età e che quindi incide nella scelta delle aziende», spiega in una intervista a Vanity Fair Silvia Vianello, super coach di carriera con un’esperienza di oltre vent’anni nel mondo del lavoro.
Secondo la Vianello la soluzione al problema potrebbe essere il BLINDS RECRUITMENT, cioè la selezione “al buio”, che prevede l’invio del curriculum senza indicazione di età, genere, provenienza, anno di conseguimento degli studi. E naturalmente senza foto.
«È una prassi che sta prendendo sempre più piede – racconta Silvia Vianello. – Nello scegliere la persona più adatta per una posizione, un recruiter potrebbe infatti lasciarsi influenzare da alcuni pregiudizi inconsci. In questo modo, invece, i selezionatori si troverebbero di fronte solo a un elenco di competenze, qualifiche ed esperienze. Il colloquio al buio è un vantaggio anche per l’azienda perché aiuta a diversificare le risorse al suo interno e a creare un ambiente di lavoro variegato aumentando l’inclusione e la diversità».
In Finlandia hanno già iniziato a farlo e con buoni risultati.

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