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ARMINE HARUTYUNYAN, LA BELLEZZA DI ESSERE AUTENTICI

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Parliamo di Armine Harutyunyan per parlare di Gucci e parliamo di Gucci per parlare di Armine Harutyunyan.

I soggetti sono oggi strettamente legati l’uno all’altra. Se il direttore artistico della maison italiana, Alessandro Michele, voleva arrivare all’obiettivo di far parlare di Gucci c’è riuscito. Se voleva accendere un faro sulla grammatica della bellezza che muta nel tempo, c’è riuscito. Se voleva generare riflessioni su un sistema maschile e maschilista che in una società iconica impone canoni stereotipati, superati e superabili, c’è riuscito. Comunque la si metta ha vinto.

Ha iniziato con Ellie Goldstein, una modella di 18 anni con sindrome di Down che ha fatto scalpore, ma l’effetto sortito con Armine Harutyunyan, è stato davvero eclatante. Lei non è la solita bellezza stereotipata, niente labbra a canotto, niente sopracciglia ad ali di gabbiano, niente seni gonfiati e sparati verso l’orizzonte. Il suo aspetto, insolito per una modella, è uno schiaffo all’atavico retaggio consumistico e patriarcale, dal quale molte – troppe – donne non si sono mai affrancate, e che vuole la libido maschile come unico metro di misura. E non è solo una scelta per tematizzare i canoni di bellezza, ma uno strappo a chi impone regole che vogliono le donne tutte uguali, assolutamente indistinguibili, uniformate dal chirurgo plastico, là dove la natura le ha fatte meravigliosamente diverse.

È una crepa nell’ideologia imperante che pretende le donne tutte con lo stesso naso, la stessa bocca, gli stessi denti perfettamente allineati, passati attraverso anni di apparecchio ortodontico. Quello di Gucci è un messaggio contro gli stereotipi, contro l’omologazione, contro la paura del diverso. È un inno all’inclusività. Ci dice che c’è posto per tutti e che la vera bellezza è essere se stessi, e soprattutto è essere veri. Autentici. Autentici come le creazioni di alta moda, non come le imitazioni sulle bancarelle.

#Impresaeccezionale

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