Il 25 novembre si celebra la Giornata contro la violenza sulle Donne, a una settimana di distanza dall’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchettin.
Un caso che ha indignato fortemente l’opinione pubblica.
Tutti hanno puntato il dito contro la scuola, la famiglia, l’intero genere maschile, lo Stato, i rapper, il patriarcato. Tutti hanno trovato un colpevole, ognuno ha rinfacciato all’altro responsabilità, ritardi, mancanze e inadeguatezze.
Dal Governo è stato chiesto un minuto di silenzio nelle scuole per questo efferato delitto, molti studenti hanno risposto con un minuto di rumore perché non si può più stare zitti.
Secondo i dati del Ministero degli Interni dal 1° gennaio di quest’anno al 19 novembre le donne uccise sono state 106: di queste, 87 sono state uccise in ambito familiare e affettivo e in 55 casi l’omicida era un partner o un ex partner.
E sabato 25 novembre associazioni, partiti, comitati, enti e privati cittadini faranno manifestazioni, leggeranno poesie, dipingeranno panchine di rosso, distribuiranno a terra scarpe rosse e metteranno un post di condanna sui social.
Ma il rischio è sempre lo stesso: che dal giorno dopo tutto torni come prima e questa assurda mattanza continui.
Ogni volta ha un sapore amaro questa celebrazione del 25 novembre. Il sapore del sangue innocente che scorre, della vita soppressa, dei sogni negati, del futuro rubato, degli affetti strappati, del dolore che non si riesce a contenere e a spiegare.
Non solo quest’anno, ma ogni volta, il 25 novembre ha il sapore amaro della violenza contro le donne, che non si ferma. Giorno dopo giorno.