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“NON CHIAMATECI QUOTE ROSA”
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La fotografia è una mannaia che nell’eternità coglie l’istante che l’ha abbagliata. Henri Cartier-Bresson, uno dei più grandi fotografi del ‘900, con queste parole rievoca la potenza dell’immagine, di come una foto possa cogliere l’attimo e strapparlo all’oblio. Tempi eccezionali come questi ci restituiscono immagini eccezionali, alcune delle quali destinate a entrare nei libri di storia.
Viene in mente, ad esempio, la fotografia che immortala Papa Francesco in una Piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia durante la preghiera straordinaria e la benedizione Urbi et Orbi. Eppure, tra le tante foto che testimoniano questi giorni, vorrei soffermarmi su una in particolare; una foto diventata “virale” – termine abusato in tempi di social e che mira a quantificare il successo di uno scatto – ma che merita qualche riflessione al di là dell’impatto immediato. Parlo dello scatto che ritrae Elena, un’infermiera dell’ospedale di Cremona, zona tra le più duramente colpite dall’emergenza covid.
La foto la ritrae esausta, dopo un turno notturno massacrante, mentre crolla sfinita sulla tastiera del computer. Elena è una delle migliaia di donne che in questi giorni di dolore sono in prima fila a combattere il coronavirus. Medici, infermiere, anestesiste, ricercatrici, virologhe, tecniche di laboratorio: se questa è una guerra, come è stata da molti definita, in trincea ci sono anche loro. Le cifre sono evidenti: il nostro Sistema Sanitario Nazionale conta 400 mila donne , più del 67% del totale del personale dipendente del SSN. È doveroso ricordare che sono donne le ricercatrici dello Spallanzani di Roma che per prime sono riuscite ad isolare il virus nonché quelle del Sacco di Milano che hanno contribuito a isolare il ceppo italiano.
Se la trincea vede le donne in prima fila, in tempi di normalità , ci aspetteremmo dati rassicuranti sulla situazione occupazionale femminile in Italia. Lavori così qualificati e preziosi dimostrano che il contributo delle donne non è solo auspicabile ma necessario. Numerosi studi, tra cui quelli prodotti dalla Banca d’Italia, hanno più volte sottolineato che una maggior presenza delle donne nell’economia e nella società di un paese porta molteplici benefici. Questi dati, invece, se da una parte ci devono rendere orgogliosi, dall’altra stridono con quella che è la situazione in Italia dell’occupazione femminile e se paragonati al resto d’Europa sono preoccupanti.
I dati Eurostat sul lavoro femminile mostrano infatti che nel 2018 le donne attive nel mercato del lavoro tra i 15 e i 64 anni in Italia sono solo il 56,2% contro una media europea del 68,3%. Il gap uomo –donna in Italia è pari al 18,9% (peggio di noi solo Malta). Ancora, le donne in età da lavoro sono il 49,5% , ben 13,9 punti inferiore alla media europea. I dati Eurostat evidenziano anche che una persona su cinque tra i 25 e i 54 anni (22,1%) è fuori dal mercato del lavoro, uno dei più alti in Europa, ma se si parla di donne la percentuale sale al 32,6%, mentre nella Ue la media è sotto il 20%. La situazione peggiora in presenza di figli: secondo i dati Istat le donne che hanno figli faticano a conciliare il lavoro con la vita familiare. Una donna su dieci con un bambino (al sud i dati parlano di una su cinque) non ha mai lavorato, una percentuale di 11,1% mentre la media europea è di 3,6%. Se si parla di divario salariale (gender pay gap) la situazione è ugualmente discriminatoria; secondo il Global Gender Gap Report 2020 l’Italia in merito alla parità salariale si colloca al 76esimo posto su 153 Paesi , per un guadagno annuo di circa 17.900 euro contro i 31.600 degli uomini, a cui vanno aggiunte le ore di lavoro domestico (ovviamente non retribuito).
Da questi dati emerge chiaramente che la parità di genere nel mercato del lavoro è ancora oggi terreno di conquista. Eppure il contributo delle donne è fondamentale, e quella foto rubata è lì a ricordarcelo. Donne come Elena possono e devono essere messe in condizione di fare la differenza in tutti i settori. La pandemia ci ha fatto aprire gli occhi su molte fragilità del mondo in cui vivevamo. Una di queste fragilità è il trattamento discriminante nei confronti delle donne sia per l’accesso al lavoro, sia per le condizioni retributive. Solo allora si compirà una vera rivoluzione perché come ha scritto Oriana Fallaci : “La rivoluzione più grande è, in un paese, quella che cambia le donne e il loro sistema di vita. Non si può fare la rivoluzione senza le donne”.
Corinna Maci
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